martedì 15 aprile 2008

venerdì 29 febbraio 2008

La questione kurda riguarda tutti, di Orsola Casagrande

Parla Akin Birdal, presidente dell'associazione turca per i diritti umani Ihd, vittima della repressione e di un attentato



È il 13 maggio 1998. Nella sede dell'associazione turca per i diritti umani (Ihd) ad Ankara, il presidente Akin Birdal riceve come ogni giorno decine di persone che attendono nell'accogliente stanzetta messa a disposizione dai volontari dell'associazione. Con insistenza, un uomo si fa largo tra le persone in attesa. Chiede di vedere Akin bey, il signor Akin. Un'altra vittima di qualche terribile violenza da parte delle autorità turche, pensano forse i volontari che fanno passare l'uomo nell'ufficio di Birdal. Pochi secondi e nell'edificio risuonano i colpi di pistola che l'uomo scarica sul presidente dell'associazione. Uno, due, tre, quattro. Alla fine i proiettili che hanno raggiunto Birdal risulteranno sei. L'uomo fugge nel panico generale. L'energico presidente dell'Ihd viene immediatamente soccorso. È in fin di vita. Sono ore e giorni di panico. Ma lui lotta e alla fine vince la sua battaglia personale contro l'odio. Birdal continuerà a dover fare i conti con la repressione anche dello stato. Nonostante la salute precaria (eredità dell'attentato) viene rispedito in carcere nel 2000, accusato di aver incitato la folla al separatismo durante un discorso a favore del dialogo e della pace. A luglio dell'anno scorso viene eletto deputato per il Dtp, il partito fondato da Leyla Zana, nel collegio di Diyarbakir. Oggi parla con il manifesto.La Turchia ha confermato che non darà alcun calendario per il ritiro delle truppe. Che succederà?La situazione è molto grave. La guerra continua. Le truppe sono entrate in Iraq. Purtroppo nel paese c'è un sentimento nazionalista molto forte che consente al governo di continuare nell'operazione militare. Le elezioni del 22 luglio avevano dato, soprattutto ai kurdi, una speranza, che ora sembra svanita.È vero, con le elezioni politiche si respirava un'aria nuova. C'era soprattutto un sentimento positivo, un ottimismo che faceva sperare nella possibilità di trovare una soluzione politica alla questione kurda. Così non è stato, purtroppo. Quella speranza si è infranta subito in parlamento, con tutti gli ostacoli che vengono costantemente posti davanti a chiunque affronti il discorso, non solo della questione kurda, ma più in generale della pace, dei diritti umani, della libertà di pensiero. Tutto viene bloccato. Qualcuno, anche tra i turchi, comincia ad avere qualche problema con questa nuova guerra. Le perdite tra i militari sono pesanti e in questi giorni anche qualche artista si è pronunciato contro l'invasione del nord Iraq. È vero, purtroppo però il sentimento nazionalista rimane quello prevalente. Anche se la gente comincia a essere stanca della guerra, di seppellire i propri figli.Il Dtp è sotto processo, rischia la chiusura. Procedimento penale dopo procedimento penale vi hanno impedito nei fatti di lavorare in parlamento.È così, ma noi continuiamo a batterci per una soluzione pacifica della questione kurda, per fare in modo che in questo paese i diritti umani vengano rispettati. Non possiamo fermarci.Da parte dell'Europa il solito assordante e complice silenzio.Purtroppo né il consiglio d'Europa né il parlamento si pronunciano. In occasione di una importante conferenza, organizzata qualche tempo fa sulla questione kurda avevo chiesto all'Europa di non lasciarsi sfuggire l'occasione offerta dai kurdi con il cessate il fuoco. Da allora sono successe tante cose. La risposta repressiva di Ankara non ha contribuito a distendere un clima già teso. Il premier Recep Tayyip Erdogan aveva parlato, proprio a Diyarbakir, di questione kurda, e tutti abbiamo creduto che finalmente il problema avrebbe avuto un posto nell'agenda politica del governo. La tregua che era stata offerta dal Pkk era stata accolta con favore dalle famiglie dei guerriglieri e dei militari. Aveva creato grandi aspettative. Ma purtroppo le operazioni militari si sono intensificate. La storia si ripete. Oggi ci ritroviamo ancora con la guerra in casa. La pace è una vittoria per tutta l'umanità. La questione kurda non è solo una questione interna alla Turchia. Appartiene a tutti, all'Europa, all'umanità perchè è una questione di identità, di rispetto dei diritti umani.

mercoledì 16 gennaio 2008

Tilili

«Tilili», Istanbul ricorda Hrant Dink
Artisti e intellettuali turchi prestano la voce per l'installazione sonora dedicata al giornalista assassinato un anno fa
Orsola Casagrande


Tilili è il tradizionale suono che le donne dell'Anatolia ottengono con la voce. Una specie di trillo che viene usato sia quando si piange e si commemora qualcuno che durante eventi felici, come i matrimoni. Tilili è il nome dell'installazione che fino al 30 gennaio ricorderà il giornalista armeno turco Hrant Dink, assassinato il 19 gennaio di un anno fa a Istanbul, mentre usciva dalla redazione del giornale di cui era direttore Agos. Il processo contro il killer di Dink, un ragazzo neanche ventenne originario del Mar Nero, è in corso. Ma quel giovane (un fanatico nazionalista si è detto) è l'esecutore materiale di quell'orribile delitto. I mandanti sono altri. Ma il tribunale non li individuerà, come già è successo per troppe vittime in Turchia. Perché i mandanti sono da ricercare nella legislazione turca che vuole «colpevole» chiunque parli di differenze, di pace, di convivenza. Hrant Dink parlava di questo e anche di storia. Perché soltanto riconoscendo gli orrori del passato si può pensare alla costruzione di un presente diverso. Dink aveva parlato del genocidio degli armeni del 1915. Per questo era finito sotto processo. Per questo da mesi la stampa turca lo additava come «colpevole». Un pericolo per «l'unità» dello stato. Qualcuno da eliminare. E puntualmente è stato eliminato.
Ora a Istanbul si vuole ricordare Dink e il suo lavoro con questa installazione. Una mostra «sonora». Nel senso che assieme ai poster e alle riproduzioni di alcuni articoli del giornalista, si potranno ascoltare quegli stessi pezzi letti da attori e intellettuali che hanno prestato la loro voce a questo progetto. Nato per iniziativa di un gruppo di giovani armeni, aleviti, kurdi, turchi, chiamato «Hadig» (grano in armeno), Tilili raccoglie 19 articoli scritti da Dink. 19 come la data in cui è stato assassinato il giornalista, il 19 gennaio. E 19 sono le voci che partecipano al progetto. Ma l'emozione più grande è ascoltare la voce dello stesso Dink.
Il progetto è completato da una serie di poster, tra cui quello che riproduce quattro melograni. Il melograno, nar, è il simbolo della fertilità, della convivenza. «I semi del melograno siamo noi - dice una delle organizzatrici dell'evento - con le nostre diversità, lingue, culture, tradizioni diverse che quando si uniscono formano l'integrità della Turchia».
Kalan musik, la casa discografica indipendente che da anni produce musica dalle Turchie (al plurale perché tante sono le etnie che compongono questo straordinario paese) ha messo a disposizione del progetto i suoi studi. Qui sono state registrate in tre settimane le letture degli articoli di Dink. Tra le voci, quella di Mehmet Ali Alabora, Okan Bayulgen, Haluk Bilginer, Yetkin Dikinciler, Tuncay Kurtiz, Fikret Kuskan, Lale Mansur, Serra Yilmaz. Gli organizzatori del progetto (che dovrebbe girare anche in Europa e negli Usa) non nascondono la loro preoccupazione per le reazioni che un simile evento potrebbe scatenare.

mercoledì 2 gennaio 2008

sonata per i porci - avvisi parrocchiali nr 2

Fra Turchia e IRaq, dove il confine non esiste più - Orsola Casagrande

Fra Turchia e Iraq, dove il confine non esiste più

Le «operazioni di pulizia» dell'esercito turco contro il Pkk sono ormai diventate attacchi contro i kurdi e Diyarbakir vive da città in guerra, come negli anni '90

Il rumore degli F16 che sorvolano il cielo azzurro di Diyarbakir è costante. Partono la mattina diretti verso la provincia di Hakkari. Il confine con il nord Iraq non esiste più per gli aerei da guerra turchi. Da una settimana ormai le forze armate turche sono impegnate nei bombardamenti delle postazioni dei guerriglieri del Pkk. In realtà le vittime ci sono anche tra i civili, nonostante le smentite del capo dell'esercito e del premier Recep Tayip Erdogan che in parlamento il giorno di natale ha ribadito con veemenza: «Chi continua a sostenere che nei bombardamenti che vedono impegnati i nostri soldati ci sono state vittime civili mente e lo fa deliberatamente». Erdogan dunque dà apertamente del bugiardo al presidente del Kurdistan iracheno Masoud Barzani che ha assunto toni molto duri nei confronti della Turchia e delle operazioni oltre confine che, a detta di Barzani, distruggono villaggi uccidendo civili e animali.
La propaganda del governo turco è pesantissima. Le trasmissioni televisive sono costantemente interrotte per dare gli ultimi aggiornamenti sulle «operazioni di pulizia» dell'esercito. Le fotografie delle presunte postazioni della guerriglia mostrate decine di volte e i comunicati delle forze armate ripetuti all'infinito. La campagna anti Pkk si è presto trasformata in campagna anti-kurdi. I kurdi di Istanbul come quelli di Ankara hanno paura. «Non usciamo molto per strada in questi giorni - ammette N. che fa l'avvocata a Istanbul e viene da Mardin - se usciamo è solo per andare al lavoro e comunque usciamo in coppia». La guerra è nelle conversazioni di tutti. Al caffé come nelle abitazioni. A scuola come dal barbiere. In autobus si passa ben presto dalle chiacchiere casuali sul tempo all'eroismo dei militari turchi che «stanno dando una lezione memorabile ai terroristi».
A Diyarbakir le strade sono piene di polizia e di militari. La gente viene sistematicamente fermata per strada. Il clima sembra quello degli anni '90. La teror mucadele, la lotta al terrorismo, è la stessa. E Diyarbakir vive come una città in guerra. Qui il rumore degli F16 che vanno a bombardare in nord Iraq è ormai «normale». «Ma normale nel senso che lo riconosceresti tra mille - dice A. giovane mamma con un passato in carcere, accusata di essere membro del Pkk - perché questo è il rumore della morte».
Sui muri di Diyarbakir sono ancora affissi i manifesti elettorali. Sbiaditi, strappati, come ben presto dopo il 22 luglio sono svanite le speranze di quanti credevano che la vittoria del Dtp e l'elezione in parlamento di 20 deputati avrebbero determinato un cambiamento di rotta nella politica dell'Akp al governo. Una ventata di aria nuova, si diceva, avrebbe attraversato il paese. I tempi si pensavano maturi. Almeno per affrontare a carte scoperte la questione kurda. Cosi non è stato e le operazioni militari di questi giorni lo confermano. I deputati del Dtp vengono denunciati, processati e, come nel caso del presidente del partito eletto proprio a Diyarbakir, Selahattin Demirtas, arrestati.
Spostarsi da Diyarbakir non è facile. Le strade sono interrotte da numerosi posti di blocco. Carri armati e convogli militari passano costantemente. Quella di Hakkari è la provincia che confina con l'Iraq e Cukurca è il distretto più vicino al confine. E' a pochi chilometri da qui che il giorno di natale c'è stato il quarto bombardamento. La gente cerca di vivere «normalmente» e accusa i media di alimentare l'odio contribuendo a un clima già molto bellicoso e nazionalista. «I venti milioni di dollari che hanno speso per questi bombardamenti - dice S. che lavora con l'associazione per i diritti umani (Ihd) - potevano essere usati per risolvere i problemi della nostra tormentata regione». Il fruttivendolo Haci dice che la notte la sua famiglia dorme al massimo due ore. «I muri della casa si stanno tutti crepando, sembra di stare in uno stato di terremoto permanente - dice - i miei bambini sono terrorizzati e non vogliono uscire di casa». Per Haci ormai non si contano più le persone denunciate. «Hanno instaurato un clima di sospetto perenne - dice - ormai ti denunciano anche se stai portando a casa un sacco di farina».
La guerra è anche sui numeri. I giornali ieri parlavano di almeno 175 morti tra i guerriglieri. Il Pkk smentisce. Ma certo è che su quelle montagne che paiono così vicine la morte è ovunque. Lo ha denunciato il presidente kurdo Barzani.
La guerra colpisce anche la Turchia. C'e' infatti un fronte interno, con i militari che bombardano la zona di Dersim, a nord di Diyarbakir. E poi ci sono i profughi perenni. In teoria il governo Erdogan sostiene il programma di «ritorno» nei villaggi bombardati o dati alle fiamme negli anni '90. In realtà sono pochi quelli che sono riusciti a tornare e ancora meno quelli che, oggi, riescono a restare. Succede per esempio a Cayirli a 17 chilometri da Cukurca. Il permesso per tornare diverse famiglie ce l'hanno. Peccato che una volte arrivate alle porte del villaggio sono rimandate indietro dai militari che presidiano la zona. Mehmet Kanar, presidente del Dtp in questa zona dice che «le bombe non aiutano né i turchi né i kurdi. La questione non può essere risolta con le armi. I nostri bambini subiscono danni psicologici enormi. Durante la prima operazione oltre confine due donne incinte hanno perso i loro figli. Chi pagherà per questo?». La domanda è rivolta anche all'Europa che ha appoggiato la Turchia in questa operazione militare. «Problema interno», si è detto.