martedì 6 novembre 2007

Il dolore di una madre


Dopo due anni è stata la volta dei Elif, la sorella. Continua la madre: “Elif lavorava, come sua sorella, per quella rivista curda. Un giorno ne ha portato alcune copie a Bagivar. Lì è stata arrestata (i giornali in curdo non erano permessi all’epoca e, ancora oggi, sono sottoposti a sequestri e chiusure da parte del governo, ndr). L’hanno portata in una baracca e l’hanno torturata, minacciandola anche con i cani. Non mi ha mai voluto raccontare quel che è successo in quel posto. So solo che non l’ho più rivista e due anni dopo (siamo nel 2002) si è data fuoco negli uffici di Istanbul del suo giornale. Ha messo davanti a lei i vestiti della sorella e si è uccisa per protesta contro le associazioni che cercano il dialogo quando l’esercito continua a uccidere i curdi nei villaggi e sulle montagne”. Rabia Celikbilek ha invece perso il figlio Fesih. Racconta: “Aveva 16 anni quando è andato sulle montagne. Era il 1992. C’è stato per quattro anni. Una volta per andare a trovarlo sulle montagne ho perso anche l’altro mio figlio che aveva otto anni. Era malato ai polmoni e non ha retto al viaggio. Poi un giorno qualcuno del Pkk ci ha chiamato e ha detto: ‘Vostro figlio è diventato martire’. Non abbiamo visto il suo corpo e non sappiamo dove è sepolto. Intanto mio marito, Abdurrahman, è stato accusato di essere un membro del Pkk ed è stato condannato a 15 anni. Per fortuna è riuscito a scappare in Germania. Il fratello di mio marito è stato arrestato. Sono arrivati quelli di Jitem (il gruppo paramilitare agli ordini del governo che compie gli atti più efferati in Turchia, ndr) e lo hanno arrestato. Dopo sette giorni è stato trovato morto vicino a Mardin. Gli altri due fratelli, che sono andati sulle montagne, sono stati uccisi”. E conclude: “Malgrado tutto il nostro dolore, noi insistiamo sulla possibilità della pace e non vogliamo la morte di nessuno”.