
martedì 15 aprile 2008
venerdì 29 febbraio 2008
La questione kurda riguarda tutti, di Orsola Casagrande
Parla Akin Birdal, presidente dell'associazione turca per i diritti umani Ihd, vittima della repressione e di un attentato
È il 13 maggio 1998. Nella sede dell'associazione turca per i diritti umani (Ihd) ad Ankara, il presidente Akin Birdal riceve come ogni giorno decine di persone che attendono nell'accogliente stanzetta messa a disposizione dai volontari dell'associazione. Con insistenza, un uomo si fa largo tra le persone in attesa. Chiede di vedere Akin bey, il signor Akin. Un'altra vittima di qualche terribile violenza da parte delle autorità turche, pensano forse i volontari che fanno passare l'uomo nell'ufficio di Birdal. Pochi secondi e nell'edificio risuonano i colpi di pistola che l'uomo scarica sul presidente dell'associazione. Uno, due, tre, quattro. Alla fine i proiettili che hanno raggiunto Birdal risulteranno sei. L'uomo fugge nel panico generale. L'energico presidente dell'Ihd viene immediatamente soccorso. È in fin di vita. Sono ore e giorni di panico. Ma lui lotta e alla fine vince la sua battaglia personale contro l'odio. Birdal continuerà a dover fare i conti con la repressione anche dello stato. Nonostante la salute precaria (eredità dell'attentato) viene rispedito in carcere nel 2000, accusato di aver incitato la folla al separatismo durante un discorso a favore del dialogo e della pace. A luglio dell'anno scorso viene eletto deputato per il Dtp, il partito fondato da Leyla Zana, nel collegio di Diyarbakir. Oggi parla con il manifesto.La Turchia ha confermato che non darà alcun calendario per il ritiro delle truppe. Che succederà?La situazione è molto grave. La guerra continua. Le truppe sono entrate in Iraq. Purtroppo nel paese c'è un sentimento nazionalista molto forte che consente al governo di continuare nell'operazione militare. Le elezioni del 22 luglio avevano dato, soprattutto ai kurdi, una speranza, che ora sembra svanita.È vero, con le elezioni politiche si respirava un'aria nuova. C'era soprattutto un sentimento positivo, un ottimismo che faceva sperare nella possibilità di trovare una soluzione politica alla questione kurda. Così non è stato, purtroppo. Quella speranza si è infranta subito in parlamento, con tutti gli ostacoli che vengono costantemente posti davanti a chiunque affronti il discorso, non solo della questione kurda, ma più in generale della pace, dei diritti umani, della libertà di pensiero. Tutto viene bloccato. Qualcuno, anche tra i turchi, comincia ad avere qualche problema con questa nuova guerra. Le perdite tra i militari sono pesanti e in questi giorni anche qualche artista si è pronunciato contro l'invasione del nord Iraq. È vero, purtroppo però il sentimento nazionalista rimane quello prevalente. Anche se la gente comincia a essere stanca della guerra, di seppellire i propri figli.Il Dtp è sotto processo, rischia la chiusura. Procedimento penale dopo procedimento penale vi hanno impedito nei fatti di lavorare in parlamento.È così, ma noi continuiamo a batterci per una soluzione pacifica della questione kurda, per fare in modo che in questo paese i diritti umani vengano rispettati. Non possiamo fermarci.Da parte dell'Europa il solito assordante e complice silenzio.Purtroppo né il consiglio d'Europa né il parlamento si pronunciano. In occasione di una importante conferenza, organizzata qualche tempo fa sulla questione kurda avevo chiesto all'Europa di non lasciarsi sfuggire l'occasione offerta dai kurdi con il cessate il fuoco. Da allora sono successe tante cose. La risposta repressiva di Ankara non ha contribuito a distendere un clima già teso. Il premier Recep Tayyip Erdogan aveva parlato, proprio a Diyarbakir, di questione kurda, e tutti abbiamo creduto che finalmente il problema avrebbe avuto un posto nell'agenda politica del governo. La tregua che era stata offerta dal Pkk era stata accolta con favore dalle famiglie dei guerriglieri e dei militari. Aveva creato grandi aspettative. Ma purtroppo le operazioni militari si sono intensificate. La storia si ripete. Oggi ci ritroviamo ancora con la guerra in casa. La pace è una vittoria per tutta l'umanità. La questione kurda non è solo una questione interna alla Turchia. Appartiene a tutti, all'Europa, all'umanità perchè è una questione di identità, di rispetto dei diritti umani.
È il 13 maggio 1998. Nella sede dell'associazione turca per i diritti umani (Ihd) ad Ankara, il presidente Akin Birdal riceve come ogni giorno decine di persone che attendono nell'accogliente stanzetta messa a disposizione dai volontari dell'associazione. Con insistenza, un uomo si fa largo tra le persone in attesa. Chiede di vedere Akin bey, il signor Akin. Un'altra vittima di qualche terribile violenza da parte delle autorità turche, pensano forse i volontari che fanno passare l'uomo nell'ufficio di Birdal. Pochi secondi e nell'edificio risuonano i colpi di pistola che l'uomo scarica sul presidente dell'associazione. Uno, due, tre, quattro. Alla fine i proiettili che hanno raggiunto Birdal risulteranno sei. L'uomo fugge nel panico generale. L'energico presidente dell'Ihd viene immediatamente soccorso. È in fin di vita. Sono ore e giorni di panico. Ma lui lotta e alla fine vince la sua battaglia personale contro l'odio. Birdal continuerà a dover fare i conti con la repressione anche dello stato. Nonostante la salute precaria (eredità dell'attentato) viene rispedito in carcere nel 2000, accusato di aver incitato la folla al separatismo durante un discorso a favore del dialogo e della pace. A luglio dell'anno scorso viene eletto deputato per il Dtp, il partito fondato da Leyla Zana, nel collegio di Diyarbakir. Oggi parla con il manifesto.La Turchia ha confermato che non darà alcun calendario per il ritiro delle truppe. Che succederà?La situazione è molto grave. La guerra continua. Le truppe sono entrate in Iraq. Purtroppo nel paese c'è un sentimento nazionalista molto forte che consente al governo di continuare nell'operazione militare. Le elezioni del 22 luglio avevano dato, soprattutto ai kurdi, una speranza, che ora sembra svanita.È vero, con le elezioni politiche si respirava un'aria nuova. C'era soprattutto un sentimento positivo, un ottimismo che faceva sperare nella possibilità di trovare una soluzione politica alla questione kurda. Così non è stato, purtroppo. Quella speranza si è infranta subito in parlamento, con tutti gli ostacoli che vengono costantemente posti davanti a chiunque affronti il discorso, non solo della questione kurda, ma più in generale della pace, dei diritti umani, della libertà di pensiero. Tutto viene bloccato. Qualcuno, anche tra i turchi, comincia ad avere qualche problema con questa nuova guerra. Le perdite tra i militari sono pesanti e in questi giorni anche qualche artista si è pronunciato contro l'invasione del nord Iraq. È vero, purtroppo però il sentimento nazionalista rimane quello prevalente. Anche se la gente comincia a essere stanca della guerra, di seppellire i propri figli.Il Dtp è sotto processo, rischia la chiusura. Procedimento penale dopo procedimento penale vi hanno impedito nei fatti di lavorare in parlamento.È così, ma noi continuiamo a batterci per una soluzione pacifica della questione kurda, per fare in modo che in questo paese i diritti umani vengano rispettati. Non possiamo fermarci.Da parte dell'Europa il solito assordante e complice silenzio.Purtroppo né il consiglio d'Europa né il parlamento si pronunciano. In occasione di una importante conferenza, organizzata qualche tempo fa sulla questione kurda avevo chiesto all'Europa di non lasciarsi sfuggire l'occasione offerta dai kurdi con il cessate il fuoco. Da allora sono successe tante cose. La risposta repressiva di Ankara non ha contribuito a distendere un clima già teso. Il premier Recep Tayyip Erdogan aveva parlato, proprio a Diyarbakir, di questione kurda, e tutti abbiamo creduto che finalmente il problema avrebbe avuto un posto nell'agenda politica del governo. La tregua che era stata offerta dal Pkk era stata accolta con favore dalle famiglie dei guerriglieri e dei militari. Aveva creato grandi aspettative. Ma purtroppo le operazioni militari si sono intensificate. La storia si ripete. Oggi ci ritroviamo ancora con la guerra in casa. La pace è una vittoria per tutta l'umanità. La questione kurda non è solo una questione interna alla Turchia. Appartiene a tutti, all'Europa, all'umanità perchè è una questione di identità, di rispetto dei diritti umani.
mercoledì 16 gennaio 2008
Tilili
«Tilili», Istanbul ricorda Hrant Dink
Artisti e intellettuali turchi prestano la voce per l'installazione sonora dedicata al giornalista assassinato un anno fa
Orsola Casagrande
Tilili è il tradizionale suono che le donne dell'Anatolia ottengono con la voce. Una specie di trillo che viene usato sia quando si piange e si commemora qualcuno che durante eventi felici, come i matrimoni. Tilili è il nome dell'installazione che fino al 30 gennaio ricorderà il giornalista armeno turco Hrant Dink, assassinato il 19 gennaio di un anno fa a Istanbul, mentre usciva dalla redazione del giornale di cui era direttore Agos. Il processo contro il killer di Dink, un ragazzo neanche ventenne originario del Mar Nero, è in corso. Ma quel giovane (un fanatico nazionalista si è detto) è l'esecutore materiale di quell'orribile delitto. I mandanti sono altri. Ma il tribunale non li individuerà, come già è successo per troppe vittime in Turchia. Perché i mandanti sono da ricercare nella legislazione turca che vuole «colpevole» chiunque parli di differenze, di pace, di convivenza. Hrant Dink parlava di questo e anche di storia. Perché soltanto riconoscendo gli orrori del passato si può pensare alla costruzione di un presente diverso. Dink aveva parlato del genocidio degli armeni del 1915. Per questo era finito sotto processo. Per questo da mesi la stampa turca lo additava come «colpevole». Un pericolo per «l'unità» dello stato. Qualcuno da eliminare. E puntualmente è stato eliminato.
Ora a Istanbul si vuole ricordare Dink e il suo lavoro con questa installazione. Una mostra «sonora». Nel senso che assieme ai poster e alle riproduzioni di alcuni articoli del giornalista, si potranno ascoltare quegli stessi pezzi letti da attori e intellettuali che hanno prestato la loro voce a questo progetto. Nato per iniziativa di un gruppo di giovani armeni, aleviti, kurdi, turchi, chiamato «Hadig» (grano in armeno), Tilili raccoglie 19 articoli scritti da Dink. 19 come la data in cui è stato assassinato il giornalista, il 19 gennaio. E 19 sono le voci che partecipano al progetto. Ma l'emozione più grande è ascoltare la voce dello stesso Dink.
Il progetto è completato da una serie di poster, tra cui quello che riproduce quattro melograni. Il melograno, nar, è il simbolo della fertilità, della convivenza. «I semi del melograno siamo noi - dice una delle organizzatrici dell'evento - con le nostre diversità, lingue, culture, tradizioni diverse che quando si uniscono formano l'integrità della Turchia».
Kalan musik, la casa discografica indipendente che da anni produce musica dalle Turchie (al plurale perché tante sono le etnie che compongono questo straordinario paese) ha messo a disposizione del progetto i suoi studi. Qui sono state registrate in tre settimane le letture degli articoli di Dink. Tra le voci, quella di Mehmet Ali Alabora, Okan Bayulgen, Haluk Bilginer, Yetkin Dikinciler, Tuncay Kurtiz, Fikret Kuskan, Lale Mansur, Serra Yilmaz. Gli organizzatori del progetto (che dovrebbe girare anche in Europa e negli Usa) non nascondono la loro preoccupazione per le reazioni che un simile evento potrebbe scatenare.
Artisti e intellettuali turchi prestano la voce per l'installazione sonora dedicata al giornalista assassinato un anno fa
Orsola Casagrande
Tilili è il tradizionale suono che le donne dell'Anatolia ottengono con la voce. Una specie di trillo che viene usato sia quando si piange e si commemora qualcuno che durante eventi felici, come i matrimoni. Tilili è il nome dell'installazione che fino al 30 gennaio ricorderà il giornalista armeno turco Hrant Dink, assassinato il 19 gennaio di un anno fa a Istanbul, mentre usciva dalla redazione del giornale di cui era direttore Agos. Il processo contro il killer di Dink, un ragazzo neanche ventenne originario del Mar Nero, è in corso. Ma quel giovane (un fanatico nazionalista si è detto) è l'esecutore materiale di quell'orribile delitto. I mandanti sono altri. Ma il tribunale non li individuerà, come già è successo per troppe vittime in Turchia. Perché i mandanti sono da ricercare nella legislazione turca che vuole «colpevole» chiunque parli di differenze, di pace, di convivenza. Hrant Dink parlava di questo e anche di storia. Perché soltanto riconoscendo gli orrori del passato si può pensare alla costruzione di un presente diverso. Dink aveva parlato del genocidio degli armeni del 1915. Per questo era finito sotto processo. Per questo da mesi la stampa turca lo additava come «colpevole». Un pericolo per «l'unità» dello stato. Qualcuno da eliminare. E puntualmente è stato eliminato.
Ora a Istanbul si vuole ricordare Dink e il suo lavoro con questa installazione. Una mostra «sonora». Nel senso che assieme ai poster e alle riproduzioni di alcuni articoli del giornalista, si potranno ascoltare quegli stessi pezzi letti da attori e intellettuali che hanno prestato la loro voce a questo progetto. Nato per iniziativa di un gruppo di giovani armeni, aleviti, kurdi, turchi, chiamato «Hadig» (grano in armeno), Tilili raccoglie 19 articoli scritti da Dink. 19 come la data in cui è stato assassinato il giornalista, il 19 gennaio. E 19 sono le voci che partecipano al progetto. Ma l'emozione più grande è ascoltare la voce dello stesso Dink.
Il progetto è completato da una serie di poster, tra cui quello che riproduce quattro melograni. Il melograno, nar, è il simbolo della fertilità, della convivenza. «I semi del melograno siamo noi - dice una delle organizzatrici dell'evento - con le nostre diversità, lingue, culture, tradizioni diverse che quando si uniscono formano l'integrità della Turchia».
Kalan musik, la casa discografica indipendente che da anni produce musica dalle Turchie (al plurale perché tante sono le etnie che compongono questo straordinario paese) ha messo a disposizione del progetto i suoi studi. Qui sono state registrate in tre settimane le letture degli articoli di Dink. Tra le voci, quella di Mehmet Ali Alabora, Okan Bayulgen, Haluk Bilginer, Yetkin Dikinciler, Tuncay Kurtiz, Fikret Kuskan, Lale Mansur, Serra Yilmaz. Gli organizzatori del progetto (che dovrebbe girare anche in Europa e negli Usa) non nascondono la loro preoccupazione per le reazioni che un simile evento potrebbe scatenare.
mercoledì 2 gennaio 2008
Fra Turchia e IRaq, dove il confine non esiste più - Orsola Casagrande
Fra Turchia e Iraq, dove il confine non esiste più
Le «operazioni di pulizia» dell'esercito turco contro il Pkk sono ormai diventate attacchi contro i kurdi e Diyarbakir vive da città in guerra, come negli anni '90
Il rumore degli F16 che sorvolano il cielo azzurro di Diyarbakir è costante. Partono la mattina diretti verso la provincia di Hakkari. Il confine con il nord Iraq non esiste più per gli aerei da guerra turchi. Da una settimana ormai le forze armate turche sono impegnate nei bombardamenti delle postazioni dei guerriglieri del Pkk. In realtà le vittime ci sono anche tra i civili, nonostante le smentite del capo dell'esercito e del premier Recep Tayip Erdogan che in parlamento il giorno di natale ha ribadito con veemenza: «Chi continua a sostenere che nei bombardamenti che vedono impegnati i nostri soldati ci sono state vittime civili mente e lo fa deliberatamente». Erdogan dunque dà apertamente del bugiardo al presidente del Kurdistan iracheno Masoud Barzani che ha assunto toni molto duri nei confronti della Turchia e delle operazioni oltre confine che, a detta di Barzani, distruggono villaggi uccidendo civili e animali.
La propaganda del governo turco è pesantissima. Le trasmissioni televisive sono costantemente interrotte per dare gli ultimi aggiornamenti sulle «operazioni di pulizia» dell'esercito. Le fotografie delle presunte postazioni della guerriglia mostrate decine di volte e i comunicati delle forze armate ripetuti all'infinito. La campagna anti Pkk si è presto trasformata in campagna anti-kurdi. I kurdi di Istanbul come quelli di Ankara hanno paura. «Non usciamo molto per strada in questi giorni - ammette N. che fa l'avvocata a Istanbul e viene da Mardin - se usciamo è solo per andare al lavoro e comunque usciamo in coppia». La guerra è nelle conversazioni di tutti. Al caffé come nelle abitazioni. A scuola come dal barbiere. In autobus si passa ben presto dalle chiacchiere casuali sul tempo all'eroismo dei militari turchi che «stanno dando una lezione memorabile ai terroristi».
A Diyarbakir le strade sono piene di polizia e di militari. La gente viene sistematicamente fermata per strada. Il clima sembra quello degli anni '90. La teror mucadele, la lotta al terrorismo, è la stessa. E Diyarbakir vive come una città in guerra. Qui il rumore degli F16 che vanno a bombardare in nord Iraq è ormai «normale». «Ma normale nel senso che lo riconosceresti tra mille - dice A. giovane mamma con un passato in carcere, accusata di essere membro del Pkk - perché questo è il rumore della morte».
Sui muri di Diyarbakir sono ancora affissi i manifesti elettorali. Sbiaditi, strappati, come ben presto dopo il 22 luglio sono svanite le speranze di quanti credevano che la vittoria del Dtp e l'elezione in parlamento di 20 deputati avrebbero determinato un cambiamento di rotta nella politica dell'Akp al governo. Una ventata di aria nuova, si diceva, avrebbe attraversato il paese. I tempi si pensavano maturi. Almeno per affrontare a carte scoperte la questione kurda. Cosi non è stato e le operazioni militari di questi giorni lo confermano. I deputati del Dtp vengono denunciati, processati e, come nel caso del presidente del partito eletto proprio a Diyarbakir, Selahattin Demirtas, arrestati.
Spostarsi da Diyarbakir non è facile. Le strade sono interrotte da numerosi posti di blocco. Carri armati e convogli militari passano costantemente. Quella di Hakkari è la provincia che confina con l'Iraq e Cukurca è il distretto più vicino al confine. E' a pochi chilometri da qui che il giorno di natale c'è stato il quarto bombardamento. La gente cerca di vivere «normalmente» e accusa i media di alimentare l'odio contribuendo a un clima già molto bellicoso e nazionalista. «I venti milioni di dollari che hanno speso per questi bombardamenti - dice S. che lavora con l'associazione per i diritti umani (Ihd) - potevano essere usati per risolvere i problemi della nostra tormentata regione». Il fruttivendolo Haci dice che la notte la sua famiglia dorme al massimo due ore. «I muri della casa si stanno tutti crepando, sembra di stare in uno stato di terremoto permanente - dice - i miei bambini sono terrorizzati e non vogliono uscire di casa». Per Haci ormai non si contano più le persone denunciate. «Hanno instaurato un clima di sospetto perenne - dice - ormai ti denunciano anche se stai portando a casa un sacco di farina».
La guerra è anche sui numeri. I giornali ieri parlavano di almeno 175 morti tra i guerriglieri. Il Pkk smentisce. Ma certo è che su quelle montagne che paiono così vicine la morte è ovunque. Lo ha denunciato il presidente kurdo Barzani.
La guerra colpisce anche la Turchia. C'e' infatti un fronte interno, con i militari che bombardano la zona di Dersim, a nord di Diyarbakir. E poi ci sono i profughi perenni. In teoria il governo Erdogan sostiene il programma di «ritorno» nei villaggi bombardati o dati alle fiamme negli anni '90. In realtà sono pochi quelli che sono riusciti a tornare e ancora meno quelli che, oggi, riescono a restare. Succede per esempio a Cayirli a 17 chilometri da Cukurca. Il permesso per tornare diverse famiglie ce l'hanno. Peccato che una volte arrivate alle porte del villaggio sono rimandate indietro dai militari che presidiano la zona. Mehmet Kanar, presidente del Dtp in questa zona dice che «le bombe non aiutano né i turchi né i kurdi. La questione non può essere risolta con le armi. I nostri bambini subiscono danni psicologici enormi. Durante la prima operazione oltre confine due donne incinte hanno perso i loro figli. Chi pagherà per questo?». La domanda è rivolta anche all'Europa che ha appoggiato la Turchia in questa operazione militare. «Problema interno», si è detto.
venerdì 21 dicembre 2007
mercoledì 19 dicembre 2007
venerdì 30 novembre 2007
Programma presentazioni
14 dicembre 2007: Palermo - Spazio Nike, Via Monteleone, 3 (davanti Libr. Mondadori di Via Roma) ore 19:00
16 dicembre 2007: Bagheria (PA) - Palazzo Cutò, via Consolare ore 18:00
16 dicembre 2007: Bagheria (PA) - Palazzo Cutò, via Consolare ore 18:00
lunedì 19 novembre 2007
Basterebbe bucare e prenderlo
Ad Erbil, uno sente scorrere sotto i piedi la storia assieme al petrolio: Erbil o Arbil, se scegli la pronuncia araba, o Hawler in curdo. Nel vecchio testamento compare col nome di Arbira, mentre Gesù, passando dal sumero all'aramaico, l'avrebbe chiamata Obilm. La cittadella che domina l'accozzaglia di costruzioni pre e post moderne che fanno l'urbanistica diffusa della Mesopotamia, hanno iniziato a costruirla circa 8 mila anni fa, prima che i faraoni schiacciassero i loro schiavi sotto i massi delle piramidi. Erbil ti offre la modernità d'importazione dei blocchi di cemento anti auto-bomba attorno ad ogni presidio governativo od occidentale, assieme agli affollatissimi bazar dove la politica, anche questo prodotto d'importazione, torna alle origini delle appartenenze tribali. Tappeti di fabbricazione industriale dove compare il leader curdo Barzani. A Suleymania invece, per l'arredo va di moda soltanto Talabani. Balzani o Talabani, o le antiche tribù feudali alleate con l'uno o con l'altro, ad andamento variabile. In questo scenario, anche la parola «democrazia» con cui le diplomazie si riempiono la bocca, deve essere tradotta. Grazie all'interessata mediazione americana prima e dopo la guerra a Saddam, a Barzani è toccato il governo locale della «Regione del Kurdistan iracheno», di cui è presidente. A Talabani, il signore di Suleymania e dei territori ai confini con l'Iran, la presidenza di tutto l'Iraq, facendo finta che lo stesso esista ancora come Stato unitario. Ora Barzani, messo alle strette dai padroni americani, ha dichiarato le sedi politiche del Pkk illegali. Le ho visitate ed erano semplici botteghe da bazar. Non più scrivanie e scritte fuori, ma per il suk, ovunque in kurdistan, il sostegno popolare di chi li considera i patrioti della prima ora, prima contro Saddam e ora a favore dei milioni di curdi in Turchia. Il presidente Talabani, da Baghdad, costretto a sua volta ad annuire agli ordini americani, nei suoi territori i ribelli del Pkk li mimetizza tra i Peshmerga delle sue milizie personali. Sulla questione petrolio, gli specialisti ci dicono che là sotto ce n'è di più di quello che calpestano le babbucce dorate degli sceicchi sauditi. Basterebbe bucare e prenderlo.
il manifesto del 17 Novembre 2007
il manifesto del 17 Novembre 2007
martedì 6 novembre 2007
Il dolore di una madre

Dopo due anni è stata la volta dei Elif, la sorella. Continua la madre: “Elif lavorava, come sua sorella, per quella rivista curda. Un giorno ne ha portato alcune copie a Bagivar. Lì è stata arrestata (i giornali in curdo non erano permessi all’epoca e, ancora oggi, sono sottoposti a sequestri e chiusure da parte del governo, ndr). L’hanno portata in una baracca e l’hanno torturata, minacciandola anche con i cani. Non mi ha mai voluto raccontare quel che è successo in quel posto. So solo che non l’ho più rivista e due anni dopo (siamo nel 2002) si è data fuoco negli uffici di Istanbul del suo giornale. Ha messo davanti a lei i vestiti della sorella e si è uccisa per protesta contro le associazioni che cercano il dialogo quando l’esercito continua a uccidere i curdi nei villaggi e sulle montagne”. Rabia Celikbilek ha invece perso il figlio Fesih. Racconta: “Aveva 16 anni quando è andato sulle montagne. Era il 1992. C’è stato per quattro anni. Una volta per andare a trovarlo sulle montagne ho perso anche l’altro mio figlio che aveva otto anni. Era malato ai polmoni e non ha retto al viaggio. Poi un giorno qualcuno del Pkk ci ha chiamato e ha detto: ‘Vostro figlio è diventato martire’. Non abbiamo visto il suo corpo e non sappiamo dove è sepolto. Intanto mio marito, Abdurrahman, è stato accusato di essere un membro del Pkk ed è stato condannato a 15 anni. Per fortuna è riuscito a scappare in Germania. Il fratello di mio marito è stato arrestato. Sono arrivati quelli di Jitem (il gruppo paramilitare agli ordini del governo che compie gli atti più efferati in Turchia, ndr) e lo hanno arrestato. Dopo sette giorni è stato trovato morto vicino a Mardin. Gli altri due fratelli, che sono andati sulle montagne, sono stati uccisi”. E conclude: “Malgrado tutto il nostro dolore, noi insistiamo sulla possibilità della pace e non vogliamo la morte di nessuno”.
Curdi, protesta davanti a Montecitorio contro Erdogan
ROMA, 5 NOV - ''Erdogan assassino! Siamo tutti Pkk!'': sono in almeno 150 a gridarlo, oggi pomeriggio, davanti a Montecitorio, per protestare contro la visita in Italia del premier turco che; tra mercoledi' e giovedi' incontrera' il presidente del Consiglio Romano Prodi e le massime autorita' dello Stato. Sono in maggioranza curdi di nazionalita' turca, ma ci sono anche simpatizzanti italiani alla manifestazione che e' stata organizzata dai principali gruppi curdi in Italia: Coordinamento Kurdistan, Uiki (Ufficio informazione del Kurdistan in Italia), Ararat, Circolo Kurdistan Ponsaco, Associazione Azad insieme a Progetto Diritti, Donne in nero, Un ponte per..., Arci, Prc, Pdci, Senza Confine. ''Chiediamo al governo italiano che proponga a Erdogan una soluzione politica e non militare alla questione curda'', ha detto all'ANSA Mehmet Yuksel, presidente dell'Uiki. ''Ci sono 100 mila militari turchi schierati al confine con l'Iraq - ha aggiunto -, ma sulle montagne del Kurdistan si puo' resistere per secoli. Chiediamo una soluzione complessiva attraverso un dialogo pacifico. Ankara sta cercando di bloccare l'autonomia che sta nascendo nel Kurdistan iracheno, ma una soluzione militare non e' praticabile''. ''I villaggi oltre il confine iracheno si stanno svuotando - ha detto ancora Mehmet Yuksel -, la popolazione e' nel panico perche' teme di essere bombardata e sta fuggendo verso le citta' piu' grandi''. Intanto, davanti alla Camera, si grida il nome di Abdullah Ocalan, il leader del Pkk detenuto in Turchia, e i cartelli sono espliciti. ''Stop alla vendita degli elicotteri italiani alla Turchia'' e ''Basta accordi commerciali con questa Turchia''. Per i prossimi giorni sono previste manifestazioni in molte citta' italiane: Milano, Venezia, Modena, Trieste. E a Roma, mercoledi' conferenza stampa dei curdi in Senato.
da UIKI onlus
da UIKI onlus
mercoledì 31 ottobre 2007
da Sonata per i porci: Khalid

Quando gli iracheni ci attaccarono con le armi chimiche ero sulle montagne e, nonostante tutto, mi arrivò l’odore dolciastro di mele del gas.
Khalid faceva il contadino e quel giorno era come al solito a lavorare i campi. Fouad era andato con il trattore al villaggio: era il suo unico figlio maschio. Un gran lavoratore, con il trattore era capace in un solo giorno di dissodare ettari ed ettari di terra dove poi coltivavano il grano e i fagioli, ad anni alterni per non fare impoverire la terra. Dice Khalid che la sua era la terra più fertile di tutto il Kurdistan perché era stata baciata da Allah. Fouad morì subito, stroncato dal gas al cianuro. E con lui tutto il villaggio. Si salvarono solo quelli che, come Khalid, si trovavano tra i campi. Era la colonna della mia famiglia.
Dopo che i gas si dileguarono arrivarono i soldati vestiti con delle tute bianche. Presero la dinamite e buttarono giù le case mentre con i bulldozer spianarono tutto il villaggio. Non restava niente.
A noi fu detto di andare via.
Khalid tornò nel villaggio tre anni dopo, quando il territorio passò sotto il potere dell’Unione patriottica di Jalal Talabani. Scavò tra le rocce in cerca del figlio, Khalid voleva dargli una degna sepoltura. Lo trovò. Fouad era ancora intatto, aveva nel taschino del gilet pure le chiavi del suo trattore. Khalid non aveva neanche una fotografia insieme al figlio. Si distese accanto a lui e chiese ad un peshmerga che gliene scattasse una, con tutt’e due accanto.
Eccola, guardate come era bello mio figlio. Ed era buono, di animo nobile e fiero.
Khalid faceva il contadino e quel giorno era come al solito a lavorare i campi. Fouad era andato con il trattore al villaggio: era il suo unico figlio maschio. Un gran lavoratore, con il trattore era capace in un solo giorno di dissodare ettari ed ettari di terra dove poi coltivavano il grano e i fagioli, ad anni alterni per non fare impoverire la terra. Dice Khalid che la sua era la terra più fertile di tutto il Kurdistan perché era stata baciata da Allah. Fouad morì subito, stroncato dal gas al cianuro. E con lui tutto il villaggio. Si salvarono solo quelli che, come Khalid, si trovavano tra i campi. Era la colonna della mia famiglia.
Dopo che i gas si dileguarono arrivarono i soldati vestiti con delle tute bianche. Presero la dinamite e buttarono giù le case mentre con i bulldozer spianarono tutto il villaggio. Non restava niente.
A noi fu detto di andare via.
Khalid tornò nel villaggio tre anni dopo, quando il territorio passò sotto il potere dell’Unione patriottica di Jalal Talabani. Scavò tra le rocce in cerca del figlio, Khalid voleva dargli una degna sepoltura. Lo trovò. Fouad era ancora intatto, aveva nel taschino del gilet pure le chiavi del suo trattore. Khalid non aveva neanche una fotografia insieme al figlio. Si distese accanto a lui e chiese ad un peshmerga che gliene scattasse una, con tutt’e due accanto.
Eccola, guardate come era bello mio figlio. Ed era buono, di animo nobile e fiero.
lunedì 29 ottobre 2007
Prodi appoggia la politica militarista turca contro i kurdi
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO APPOGGIA LA POLITICA MILITARISTA TURCA CONTRO I KURDI
Roma, 26/10/2007
Comunichiamo di aver appreso con grande rammarico la dichiarazione del Presidente del Consiglio Romano Prodi riguardo le azioni militari intraprese dalla Turchia contro il popolo kurdo. Ricordiamo a tal proposito che la Turchia sta portando avanti da tempo attacchi contro i kurdi e il PKK, nonostante i numerosi cessate il fuoco unilaterali proclamati negli anni dai guerriglieri kurdi, compresso l’ultimo che risale 24 ottobre 2007.
Come comunità kurda che vive in Italia, riteniamo che la Turchia non si stia avvicinando all’Unione Europea proprio a causa dei combattimenti e delle politiche di massacro anti-kurde. Cogliamo quindi l’occasione per ricordare che il Presidente del Consiglio Turco, Erdogan, si serve di politiche militariste contro tutto il popolo kurdo, il quale certamente non dispone dei potenti mezzi militari che la Turchia utilizza nei continui attacchi a spese di un popolo i cui diritti elementari sono notoriamente negati. Vorremmo inoltre far notare al Presidente del Consiglio, che la questione kurda va affrontata con il dialogo e non con metodi militaristi adottati in questi giorni dal Presidente Erdogan. Riteniamo piuttosto che il recente evolversi della situazione sia dovuto alla stabilità e all’autonomia di cui comincia a godere la regione federale del Kurdistan iracheno, situazione non particolarmente gradita dal governo e dall’esercito turchi.
Abbiamo recepito le parole del Presidente del Consiglio Romano Prodi come un sostegno e un via libera alla Turchia affinché possa procedere con l’opera di sterminio e annientamento del popolo kurdo, in forte contrasto con il principio di pace espresso dalla Costituzione italiana che, ne siamo certi, anima anche il Presidente Prodi. Pertanto ci auguriamo con forza che nell’imminente visita di Erdogan a Roma del 7 e 8 Novembre, il Presidente Prodi possa richiamarsi e fare riferimento alla risoluzione approvata alla Commissione Esteri della Camera il 20 Dicembre 2006, che in breve impegnava il governo “a favorire in ogni modo, sia nelle sedi bilaterali sia in quelle multilaterali europee, l'avvio di un dialogo volto a promuovere lo sviluppo di condizioni idonee a garantire la conciliazione, la stabilità nel sud-est della Turchia e la soluzione politica della questione kurda e del conflitto esistente”.
da UIKI onlus
giovedì 25 ottobre 2007
ULTIM'ORA: M. OSMAN: SE I TURCHI ATTACCANO, GLI USA SI PENTIRANNO

Osman parla di pressioni Usa su Talabani per blitz basi PKK Roma, 24 ott. (Apcom) -Se le forze Usa in Iraq parteciperanno ad operazioni militari congiunte con l'esercito turco contro le basi dei ribelli del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), "se ne pentiranno", perchè "troveranno l'ostilità della popolazione curda non solo in Turchia ma anche in Iraq". Lo ha detto ad Apcom il leader curdo Mahmoud Osman assicurando l'esistenza di "forti pressioni dell'amministrazione Bush sui leader curdi " iracheni, Jalal Talabani e Massud Barzani perché siano sostegno a "commando Usa e turchi contro le postazioni dei ribelli curdi sul monte al Qindil" nel Kurdistan iracheno. Osman, deputato nel parlamento di Baghdad, precisa di non parlare a nome del presidente Talabani, né di Barzani, ma si è detto convinto che i due leader curdi "non accetteranno mai di accogliere le richieste Usa di scontrarsi con i combattenti curdi", proprio perchè "sono consci che il fine vero delle minacce della Turchia è in realtà provocare una guerra tra curdi ". Una eventualità che, secondo i calcoli dei militari turchi "manderebbe in fumo l'eventuale creazione di uno stato curdo". "Piuttosto che fare pressioni su di noi - ha proseguito l'anziano leader curdo - gli americani se vogliono davvero superare questa crisi e risparmiare ulteriori focolai di tensione nell'area, farebbero bene a fare pressione sul governo di Ankara perché proclami un'amnistia generale e incondizionata per i combattenti curdi. Noi (i curdi iracheni ndr) faremo da garanti per il rientro a casa di gran parte dei miliziani del Pkk che sono oggi nel Kurdistan iracheno".
mercoledì 24 ottobre 2007
L'iprite è uno dei gas impiegati per la guerra chimica; è conosciuto anche come gas mostarda

Chimicamente è un solfuro di dicloro-etile, liquido di color bruno-giallognolo, dal caratteristico odore di aglio o senape, abbastanza stabile all'aria, con elevato punto di ebollizione e bassa pressione di vapore; anche il punto di fusione è basso; si tratta perciò di una sostanza assai persistente.L'iprite è un vescicante d'estrema potenza: possedendo la spiccata tendenza a legarsi alle molecole organiche. L'iprite è liposolubile e penetra in profondità nello spessore della cute; dopo che gli strati superiori, ancora sani, sono andati incontro al fisiologico ricambio, si presentano sulla superficie cutanea le cellule colpite e non proliferanti, cosicché si aprono devastanti piaghe. Concentrazioni di 0,15 mg d'iprite per litro d'aria risultano letali in circa dieci minuti; concentrazioni minori producono le sopracitate gravi lesioni, dolorose e di difficile guarigione. La sua azione è lenta (da quattro ad otto ore) ed insidiosa, poiché non si avverte dolore al contatto. È estremamente penetrante ed agisce sulla pelle anche attraverso gli abiti, il cuoio e la gomma.In caso di esposizione a dosi molto elevate provoca danni gravissimi all'apparato respiratorio ed all'apparato ematopoietico. Sono descritte anche forme di cheratite. La morte può sopraggiungere in tal caso in una settimana circa, a causa di un'immunodepressione acquisita per leucopenia, e secondariamente per le lesioni cutanee, che aprono la porta ad infezioni diffuse.L'unica terapia è quella sintomatica in camera sterile, al fine d'evitare le infezioni che risulterebbero altrimenti letali; gli scampati presenteranno per tutta la vita estese cicatrici deturpanti. Scarsa utilità mostra la terapia contro le grandi ustioni, a base di medicazioni sterili (non con sostanze oleose o con unguenti); solamente nelle lesioni oculari la vaselina sterile è idonea ad evitare le sinechie dopo blefarospasmo reattivo. Per distruggere l'iprite sul terreno o sugli oggetti si ricorre al cloruro di calce; per la sua eliminazione dalla pelle sono utili ripetuti lavaggi con alcool, etere, benzene, acetone, acquaragia, permanganato di potassio, ipocloriti (varichina inclusa). (da Wikipedia)
L'Iprite è stato usato da Saddam contro i kurdi ad Halabja nel 1988. Chi glielo ha fornito?
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